Una presenza oscura plana per i cieli notturni di Santiago a caccia di sangue umano. Pinochet, svelato nella sua reale natura di vampiro assetato di morte, ritorna in vita, dopo la fine simulata, per martoriare ancora il suo popolo. Novella gotica filmata in un bianco e nero sepolcrale e raffinatissimo, sospesa fra humour noir e dissacrazione, il film di Larrain smaschera, alla radice della ferocia assassina della dittatura cilena, una meschina brama di guadagno volta a saccheggiare le ricchezze di una Patria che si millanta di voler proteggere dai suoi nemici. In questo senso la metafora del vampiro è ancora più calzante. Il plot, in se stesso semplice, si aggroviglia poi però in una saga famigliare, dove i figli del dittatore vampiro ambiscono ad impossessarsi della sua eredità in combutta ed assieme crudele competizione con la moglie del generale e un fedele e diabolico servitore – vampiro a sua volta, russo bianco e torturatore di innocenti – mentre un’angelica suora, inviata dall’arcivescovo di Santiago, vuole esorcizzare il vampiro per convogliare verso la chiesa il suo patrimonio purificato. Il tutto narrato da una voce fuori campo che si incarnerà in una nuova maligna figura fluttuante nell’aria, gentile riconoscimento dei meriti, anche nella recente storia anglosassone, in fatto di personaggi satanici. Un po’ troppo, in verità, anche perché si rimane sempre indecisi se l’interesse maggiore di Larrain stia nel raccontare, attraverso una metafora di morte, il destino del suo paese o smarrirsi nel fascino estetizzante dei dettagli truculenti (teste mozzate, cuori frullati, cadaveri scempiati) fra le lande desolate della tana del vampiro e gli angoli spettrali di una metropoli notturna. E così nonostante pagine di gran cinema, come il goffo e poetico volo fantastico della suora vampirizzata, i colpi di scena, le digressioni horror e gli inserti satirici, il racconto si impantana e subentra, livida come le atmosfere cupe filmate da Larrain, la noia.
