La prima cosa a cui tutti pensano è Inside-Out. Troppo banale. Paolo Genovese, per sgusciare via da un’accusa diretta di plagio, richiama vecchi spot che aveva confezionato per la RAI alla fine degli anni ’90, dove la stessa meccanica delle personalità variegate che abitano i diversi personaggi era già stata evocata. A noi erano venuti in mente, invece, Woody Allen, les médecins philosophes e la Gialappa’s Band. In una formidabile sequenza di Annie Hall, Annie (Diane Keaton) e Alvy (Woody Allen) sono su un terrazzo, si sono appena conosciuti, si piacciono, ma proprio per questo sono imbarazzati, vorrebbero apparire disinvolti e brillanti, ma sono risucchiati in un gorgo di banalità. Non so voi, ma direi esperienza non rara che diviene però esilarante quando in sovraimpressione appaiono i loro pensieri: tragica consapevolezza della figura barbina in cui sono sempre più invischiati. Per prima cosa Genovese sfrutta questo meccanismo. Ok, una situazione stravista, una prima cena assieme, con i due personaggi che si adattano con minime variazioni all’immagine cinematografica più immediata degli attori che l’impersonano: lui, Piero (Edoardo Leo), cinquantenne, barba ispida, piacione, un po’ imbranato, ma solo di circostanza, molto sornione, per l’occasione professore di storia e filosofia al liceo, una professione che, si sa, con le donne spacca; lei, Lara, trentenne, con il bellissimo volto preraffaellita di Pilar Fogliati che, poco credibilmente inconsapevole del suo fascino (mai trovata una così), balbetta ansiosa ed esitante. Il gioco di Genovese sta nel combinare questo scenario da filmino Netflix di San Valentino (prima fase di studio impacciato; avvio di una complicità presto interrotta da tensioni e dissidi; sciogliersi dei contrasti, violini e grande amore) con i commenti frizzanti della Gialappa’s band che questa volta non se ne sta semplicemente stravaccata sul divano a guardare la partita, ma sdoppiandosi dentro la testa dei due protagonisti in due squadre contrapposte, interviene direttamente per pilotare le azioni e le reazioni dei nostri eroi. E qui salta fuori il contributo (probabilmente inconsapevole, ma non si sa mai) di Alfred Binet e compagnia: il fatto che il nostro io sia il risultato di un costante conflitto fra personalità diverse che cercano di affermarsi l’una sull’altra nel forum interiore della nostra coscienza. Genovese smorza i contorni drammatici dello scontro, ma nello stesso tempo abbandona anche l’idea che si affermi un’egemonia, più o meno stabile, di un io sugli altri. Le componenti degli ego dei personaggi, sfacciatamente sensuali Eros e Trilli (Claudio Santamaria e Emanuela Fanelli), prudentemente razionali Professore e Alfa (Marco Giallini e Claudia Pandolfi), soavemente romantiche Romeo e Giulietta (Maurizio Lastrico e Vittoria Puccini) o, con una convincente variazione fra il maschile e femminile, disincantata Valium (Rocco Papaleo) e (moderatamente) folle Scheggia (Maria Chiara Giannetta), ciascuna nel proprio campo, sono impegnate invece in una continua opera di rinegoziazione, non esente da colpi bassi, dispettucci, idiosincrasie, temporanee alleanze presto infrante e poi ridiscusse che si riflette nelle indecisioni, nei lapsus, negli scatti, nelle confessioni e nelle reticenze dei protagonisti. Genovese, ancora una volta dopo Perfetti Sconosciuti, dimostra una grande abilità nell’orchestrare le situazioni corali, con un’attenzione calibrata nel mixare i primi piani di Lara e Piero con i totali, i tagli intermedi e i piani sequenza dei quartieri generali delle personalità multiple dei protagonisti, offrendo anche una riuscita caratterizzazione scenografica degli ambienti: in stile polveroso ufficio chandleriano per gli spiritelli di Leo e incasinato, ma lindo miniappartamento di Bridge Jones per quelli di Lara. Il montaggio, veloce e preciso, passa senza soluzione di continuità fra l’interno e l’esterno, dando fluidità e ritmo allo scorrere della vicenda in modo che si determini un contrappunto vivace e pungente fra le tifoserie speculari, di cui i poveri protagonisti risultano i burattini inconsapevoli. Il clima è festoso e gli attori, anche se rinchiusi in ruoli abbastanza statici, non proprio ricchi di sfumature, sembrano divertirsi molto e comunicano un’allegria contagiosa. Su tutti, quelli più a loro agio, facilitati dal ruolo scoperto (si capisce dalle prime inquadrature, senza bisogno di grande scavo psicologico, che Piero e Lara hanno una voglia matta di fare sesso assieme) sono Fanelli e Santamaria e poi, alla lunga, Pilar Fogliati che, se ben diretta, sa essere brava quanto bella. La sceneggiatura si diverte a far interagire gli stereotipi di primo livello -il dialogo non proprio da Strindberg dei due protagonisti – con le riflessioni e le incitazioni, gli apprezzamenti e le recriminazioni, gli sberleffi e gli sbuffi delle assemblee di condominio interiori, non cercando tanto la profondità di introspezione quanto la consapevolezza caustica del commento fuori campo e l’antifrasi autoironica, sulla scia della lezione alleniana. Forse però, proprio grazie al tono leggero, suggerisce anche di più, facendoci intuire quanto spesso il chiacchiericcio che riempie il vuoto di certe situazioni di imbarazzo, sia il precipitato involontario, cristallizzato nell’insulso, di spinte emotive contrastanti: di paure e voglie, fragilità e desideri che, non sempre con successo, cerchiamo di tenere celati anche a noi stessi. Il risultato è piacevole e brillante e soprattutto, caso raro per una commedia italiana, nonostante le inflessioni in romanesco, probabilmente potrebbe essere apprezzato anche oltre il Canton Ticino, per cui si può tranquillamente perdonare il tentativo finale di strafare, organizzando uno scontro in singolar tenzone fra le anime multiple dei due protagonisti all’interno dello stesso spazio, in un battibecco per la prima volta solo scontato, senza la rete di protezione del doppio livello. Ma ormai siamo alla fine e come ben sanno Romeo e Giulietta, ma anche gli spettatori inguaribilmente romantici – in prima fila il vostro umile recensore – l’importante non era finire a letto assieme, ma gli spaghetti aglio, olio e peperoncino di mezzanotte, e (cosa che, per fortuna, il film ci lascia solo immaginare) svegliarsi abbracciati il giorno dopo.
