Un autre monde

Il reengineering è un eufemismo per indicare un taglio drastico dei posti di lavoro all’interno di un’azienda. Non ha nessuna finalità di miglioramento produttivo, anzi, il più delle volte è l’anticamera per il tracollo dell’azienda che, priva delle risorse di personale necessarie, è ben presto destinata a perdere efficienza e quindi a naufragare. Lo scopo è unicamente quello di dare un indicazione precisa ai mercati: la riduzione dei costi attraverso la compressione dei posti del lavoro è calcolata dagli algoritmi come un vantaggio competitivo e quindi si trasforma in un rialzo del valoro azionario. Non importa se di breve periodo. Nel lungo periodo saremo tutti morti diceva Keynes mentre i suoi epigoni neoliberisti potrebbero chiosare che è nel brevissimo periodo che i grandi manager ottengono bonus per aver raggiunto gli obiettivi richiesti.
Philippe Lemesle (uno strepitoso Vincent Lindon) è il direttore di una filiale francese di una grande multinazionale USA stretto fra il martello delle richieste draconiane dei suoi dirigenti che pretendono insensate riduzioni del personale e l’incudine dei suoi dipendenti ai quali, pur nella netta separazione dei ruoli, è legato da un rapporto di fiducia e rispetto. Tutto il mondo gli sta crollando attorno: il suo matrimonio è distrutto dalla sua latitanza, troppo assorbito dal lavoro, il figlio mostra evidenti segni di squilibrio, travolto dallo stress per primeggiare a scuola, ma soprattutto quello di cui non riesce a capacitarsi è che non si vogliano ricercare soluzioni razionali e possibili per ottenere un miglioramento della produzione ed assieme salvaguardare i posti di lavoro. Il ritmo del film è dato dall’alternarsi delle fasi concitate della trattativa e da spezzoni della vita privata sempre più disastrata del protagonista. Ai piani medi delle riunioni di lavoro, frontali e con nervosi movimenti di macchina si succedono i primi piani lenti, in cui le figure sono quasi spiate da un posizione posteriore e defilata, degli incontri con la moglie o con i dottori che seguono il figlio. Tanto nelle prime situazioni Lemesle si dimostra tenace e combattivo, quanto risulta prostrato e sopraffatto dagli eventi nelle seconde. Film non perfetto, con qualche simbolismo di troppo o troppo facile (la marionetta guidata dal figlio che segue nel montaggio la sconfitta di Lemesle schiacciato dalla struttura che aveva contribuito a creare), con un uso della colonna sonora che avrebbe potuto essere meno enfatico, Un autre monde ha però ha due grandi meriti. Il primo. Non cerca di rifugiarsi nell’ambiguità, non sceglie di sfumare i personaggi e situazioni. Qualcuno potrà accusare Brizé di eccessivo ideologismo, ma l’acronimo TINA (there is not alternative – a questo mondo) non è stato lui ad inventarlo. Non si capisce perché se la logica del mercato è spietata ed astratta (come una riunione in zoom che decide della sorte di migliaia di persone), il discorso che si oppone al dominio dovrebbe essere nuancé e attento ai distinguo e a non urtare la sensibilità di chi dirige il vapore. L’altro merito è il volto dolente di Lindon. I suoi silenzi. Il primo piano sul suo volto durante il lungo piano sequenza della vendita della casa, o l’inquadratura del suo silenzio imbarazzato e sofferente mentre suo figlio dà fuori di testa millantando un fantomatico incontro con Zuckerberg gli valgono le coppe volpi degli ultimi 5 anni alla mostra del cinema di Venezia dove, incredibilmente, non ha ottenuto nessun riconoscimento.

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