Dopo violenze domestiche, stupri e abusi su minorenni, brutalità criminali e deformità volutamente disgustose finalmente con il film di Rebecca Zlotowski arriva alla Mostra del Cinema di Venezia una storia d’amore ordinaria. E già questo è un bene. Che indulge magari un po’ troppo in certa carineria tutta francese e questo è un po’ meno bene.
Rachel è un insegnante innamorata del suo lavoro in una scuola francese che per una volta non è stipata di teppisti e delinquentelli. Si avvicina alla quarantina (Virgine Efira ne ha in effetti quarantacinque portati splendidamente) e ha alle spalle, come tutti, delusioni e occasioni mancate che non sembrano però averne minato il carattere aperto, gentilmente volitivo. Incontra ad un corso di chitarra Alì (il fascinoso Rochid Zem) ed è subito amore, appassionato, ma anche pieno di tenerezza, complicato però dalla figlia di quattro anni di Alì che l’uomo adora sopra ogni cosa. Potrebbe però essere un opportunità perché la bambina, Leila, simpatica e gentile pure lei, un po’ come tutti i personaggi del film, si affeziona a Rachel che riversa sulla bimba il suo desiderio (e la sua ansia) di maternità. Il ginecologo di fiducia della donna, un simpatico vecchietto che sembrerebbe dirla lunga sulla spietatezza del sistema pensionistico francese, (ma niente paura, è solo un cameo del il regista Wiseman) l’ha infatti avvisata che è ormai entrata, da un punto di vista procreativo, nei tempi supplementari. Virgine sa che Alí è l’uomo giusto – non fatevi cattive idee, niente banlieue, lavora come progettista d’auto e scorrazza in Range Rover – ma non vuole fargli pressioni. C’è anche la mamma di Leila (Chiara Mastroianni un po’ più sciupatella di Virgine) in ottimi rapporti con il padre della bambina e, ça va sans dire, cordiale e cortese con la sua nuova compagna. Insomma, ci siamo capiti, viviamo in un mondo civile e molto educato e il momento di maggior eversione è la bellissima Cocaine Blues di Dave Van Ronk che i due amanti ballano teneramente allacciati (probabilmente del tutto indifferenti al testo).
Ecco. Poi non succede più nulla. Cioè sì: qualcuno muore, qualcuno nasce, qualcuno trova la sua via, qualcuno si smarrisce (ma poi, per carità, si ritrova) e poi speranze e disillusioni, responsabilità e scelte. Un po’ come nella vita. E questo è un composto merito del film, che la regia realizza, forse lo si era già capito, in modo un po’ troppo compiaciuto, e questo è un po’ meno bene. Rimane però in mente, in uno dei finali protratti del film, il primo piano sul bel volto di Virgine, mentre la donna si incammina per le vie di Parigi. Allo spettatore la scelta se il suo sguardo esprima disincantata speranza o serena tristezza.
