Competentia oficial

Chi si ricorda il nome del produttore di Casablanca o di Via con il Vento?
Già comincia con un tocco di comicità surreale la pellicola di Cohn e Duprat: un vecchio capitalista, magnate dell’industria farmaceutica, guardando sconsolato i resti del suo ottantesimo compleanno negli interni asettici dell’edificio modernista della fondazione che ha creato evidentemente come espediente per evadere le tasse, decide che deve lasciare un segno indelebile del suo passaggio in questa valle di lacrime, per cui non trova nulla di meglio che produrre un film. Ovviamente, almeno quello, un film che deve essere un capolavoro e così, non badando a spese, si accaparra i diritti di un romanzo di un premio Nobel (che si guarda bene dal leggere), scrittura una regista cult, vincitrice di premi internazionali, tanto geniale, quanto eccentrica e indisponente (Penelope Cruz) che, a sua volta, pretenderà come protagonisti della pellicola due attori eccezionali, che mai avrebbero potuto incontrarsi su un set, un po’ De Niro e Al Pacino per la prima volta sullo schermo in Heat, solo che qui il contrasto è ancora più estremizzato. Ivan (Oscar Martinez) è un mostro sacro del teatro off prestato al cinema, cerebrale e sprezzante nei confronti dei facili gusti del pubblico, una sorta di Carmelo Bene rarefatto e prosciugato dalla sua gigioneria; Felix (Antonio Banderas) è invece una star hollywoodiana indiscussa, strafottente, macho e sbruffone, playboy stagionato e impenitente, ma versatile ed espressivo animale da set. Costruiti, l’uno come l’opposto dell’altro i due protagonisti condividono però uno smisurato egocentrismo narcisistico che la tirannica regista con intenti (e mise) sadomaso si ingegnerà di mortificare nei massacranti nove giorni di pre-produzione: un tour de force di esercizi spirituali che assomigliano ad un demenziale “Giochi senza frontiere” sceneggiato da Bunñuel, per la sottile e ferrea logica assurda che lo presiede, con le scenografie di Magritte nei geometrici spazi deserti della grande fondazione di cemento, vetro e acciaio su cui incombono macigni volanti come nella Fleche de Zenon del pittore surrealista. Il tutto con effetti esilaranti. L’idea sarebbe quella di scardinare attraverso lo stress le consuetudini interpretative dei due personaggi per liberare la loro espressività, ma l’esito, più che per le umiliazioni e gli oltraggi sempre più iperbolici, è raggiunto grazie al conflitto via via più esasperato che nasce, fin dal primo incontro, fra i due attori. Una competizione manifestata all’inizio con lievi, quasi rispettosi, motteggi che si trasformano in dispetti puerili, evolvono in ripicche astiose per sfociare poi in sorprendenti vendette crudeli, in un crescendo sempre trattenuto sul filo di una ambigua ipocrisia di facciata.
Metacinema brillante, dalla fotografia raffinata e dalle scelte di inquadratura mai banali, Competentia oficial più che concentrarsi – come è il caso di noti esempi precedenti, Effetto notte o Hollywood Vermont – sulla fase di elaborazione della pellicola, sui suoi aspetti tecnici e produttivi, punta l’obbiettivo sul momento embrionale del processo creativo divertendosi (e divertendo lo spettatore) nello smontare gli stereotipi del regista estroso e stravagante, tutto genio e sregolatezza, come i cliché contrapposti dell’attore sofisticato ed engagé, che si fa però sbiancare i denti per brillare di più sullo schermo e della star esibizionista e sfacciata, ma impegnata a provare di nascosto gli esercizi della scuola di recitazione del rivale, in precedenza snobbati con condiscendente sufficienza. Martinez e Banderas sono strepitosi in questa vera e propria gara di bravura nel rendere il peggio dei loro personaggi, nel sottolineare il disprezzo reciproco, nutrito però anche di una fascinazione inconfessabile per il rivale, che rende ancora più velenoso il confronto. Così come straordinaria è Penelope Cruz, che si assoggetta a girare tutto il film con una fulva architettura barocca sulla testa in guisa di pettinatura, riuscendo, quando è necessario, a suggerire nei nitidi primi piani su cui indugiano i registi anche un’umanità sensibile, la profondità nascosta di un personaggio che di per sé vivrebbe sulla superficie brillante e dai colori pop di un cartone animato.
Tutto giocato sul meccanismo simmetrico delle opposizioni e sui deragliamenti repentini di queste contrapposizioni con gli effetti comici conseguenti, Competentia oficial rischia forse nel finale di rimanere un po’ imprigionato in questi automatismi; qualcuno potrebbe dire che magari un certo sfoltimento al sovrapporsi delle gag avrebbe giovato al ritmo, ma può anche essere che la ridondanza faccia parte del gioco, così come la scenografia monumentale e vuota che contiene indifferente i piccoli, grandi screzi delle star contrapposte contribuisce a relativizzarli, riducendoli alle piccolezze meschine che sono. Solo che l’esito di questa lotta aspra e senza esclusione di colpi di tutti contro tutti, produce, nell’unica scena girata che viene riprodotta nel film, un risultato perfetto. Potenza della dialettica.
(Ah, a proposito, il magnate, poi, per passare alla storia, deciderà di costruire un ponte, forse una scelta più oculata. Infatti i produttori di Casablanca e Via con il vento, di cui vi siete dimenticati i nomi, sono rispettivamente Hal B. Wallis e David O. Selznick)

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