Dimentichiamo il romanzo di Pavese e confronti spiacevoli e facciamo conto che sia una storia del tutto nuova.
Ginia è una ragazza che si avvia a diventare donna e vive con il fratello, siamo nei tardi anni ’30 a Torino. Origini umili nella campagna, aspirazione di ascesa sociale, ma anche curiosità nei confronti di un mondo nuovo, che si rivelerà a breve “grande e terribile”. Ginia è una sartina in un atelier di moda. È brava, ha talento e la stilista che conduce l’azienda se ne è resa conto. Poi Ginia incontra casualmente Amalia, una bellissima modella di artisti squattrinati e bohemien, che la introduce nel suo ambiente, fascinoso e proibito, mentre fra le due ragazze nasce una complicità tenera ed ambigua. Ora, però, tutta la narrazione può reggere se sceneggiatura, messa in scena, recitazione, riescono a farci percepire la scintilla che si produce dall’incontro fra questi due mondi paralleli e apparentemente incomunicabili, se si riesce ad evocare il sottile processo di seduzione reciproca fra le giovani, da parte di Amelia cosciente e meditato, da quella di Ginia inconsapevole ed irresistibile.
Purtroppo, niente di tutto questo. Lucchetti ci racconta quello che sta succedendo, ma non ce lo fa rivivere; allude ai sentimenti che la relazione genera, ma le scene sono costruite come se si appuntasse un post-it per ciascuna di queste che segnala, a seconda dei casi, che si sta trattando di imbarazzo, tentazione, speranza, delusione piuttosto di far scaturire quegli stessi stati d’animo dalle alchimie che si creano fra i diversi personaggi. Certo, non aiuta alla riuscita generale una Deva Cassel nel ruolo di Amalia che cerca di supplire con un’altera bellezza alla mancanza di espressività. E una compagine di attori maschili piuttosto impacciati e poco credibili. Molto più duttile e incisiva è Ylie Yara Vianello nella parte di Ginia, ma le sue qualità, che sono palesi, non sono valorizzate e servono a dare spessore e sincerità unicamente ad alcune sequenze solitarie, perché, lì dove invece la ragazza interagisce con altri personaggi, ciò che si rende più evidente è la dissonanza fra la complessità del carattere di Ginia e l’essere stereotipato degli altri. Magari era anche una scelta di regia: in fin dei conti la Bella Estate, che sta finendo quasi prima di essere iniziata, è quella di Ginia, ma temo proprio che non sia così.