The United States vs Billie Holiday

Southern trees bear a strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swinging in the southern breeze
Billie Holiday si ostinava testarda ad inserire nei suoi concerti questa canzone, Strange Fruit, una denuncia tanto cruda quanto poetica della brutale e impunita violenza dei bianchi contri i neri americani. E gli apparati dell’establishment non potevano perdonarlo. Temevano il potere rivoluzionario di quel testo e si indignavano perché quelle parole aspre e quella musica sconsolata sfregiavano l’immagine di una società pacificata e opulenta, quale era l’autorappresentazione ipocrita dell’America del secondo dopoguerra, ma soprattutto non potevano capacitarsi che Billie non si adattasse al ruolo del “negro” servizievole, che sa stare al suo posto, eternamente riconoscente per aver ottenuto dal padrone bianco l’opportunità di intrattenerlo.
È la storia di una persecuzione spietata, di umiliazioni e ribellione, di orgoglio e sopraffazione, quella raccontata da Lee Daniels che ripercorre l’ultimo decennio della vita della Holiday, la straordinaria cantante nera che ha bruciato la sua esistenza fra i successi internazionali e il carcere, la dipendenza dalla droga e l’accanimento con cui le agenzie federali la braccarono durante la sua vita, la sua potenza espressiva, che stregava il pubblico, e la sua complementare volontà autodistruttiva.
La sceneggiatura è sostanzialmente basata su un capitolo del saggio di Johann Hari “Chasing the scream the first and last days of the war on drugs” espressamente dedicato alla Holiday e all’accanimento con cui l’FBI la perseguì nel tentativo, alla fine riuscito, di annientarla. Ne è venuto fuori un film febbrile e discontinuo che alterna momenti di forte pathos, non ha caso quelli in cui la scena è tutta presa dalla strepitosa voce di Andra Day che interpreta il ruolo di Billie Holiday e altri in cui il tono melodrammatico, l’accentuazione sovraesposta non giova al percorso della narrazione, che suscita invece un coinvolgimento più sentito quando si mantiene in tratti più asciutti, trattenuti, quasi scarnamente documentaristici anche se non per questo meno drammatici. C’è un’alternanza nel film fra spezzoni in bianco e nero, che mescolano assieme immagini d’epoca e riprese con gli interpreti del film trattate digitalmente per simulare i fotogrammi sporchi e graffiati dei filmati del tempo, e i colori caldi e saturi con cui sono girate le scene nei locali in cui si esibiva Billie, nei suoi camerini, nelle camere d’albergo e negli hotel delle sue tournée. Personalmente avrei preferito che si mantenesse più il mood sobrio delle prime sequenze piuttosto che la ridondanza delle seconde, anche se, non si può negare, che proprio l’avvicendamento fra le due modalità è un effetto ricercato dal regista per radicare la fiction nella realtà storica. Ma è forse proprio nella dialettica fra questi due aspetti che si sconta il limite maggiore della ricostruzione di Daniels e della sceneggiatrice Suzan-Lori Parks. Billie Holiday, così come ci viene presentata nel film, è lacerata da una contraddizione inquietante. Anche se ribelle, anticonformista, orgogliosa della propria indipendenza, insofferente rispetto a qualsiasi autorità, la cantante sembra però dominata da una coazione a ripetere che la porta a legarsi con uomini brutali, che la sfruttano e la umiliano. A questa sfilza di energumeni si aggiunge poi, per completare il quadro, l’agente Harry Anslinger (Garrett Hedlund), perfido razzista che si fa un punto di orgoglio nel perseguitare con un sadismo compiaciuto Billie, sfruttando la sua debolezza con le droghe per distruggerla. Quasi come contrappeso di questa spirale di degrado, il film costruisce, sulla base di alcune illazioni non confermate di Hari, una storia d’amore, tenera e sincera, fra Billie e Jimmy Fletcher (Trevante Rhodes) un agente federale di colore infiltrato negli ambienti del jazz, che aveva in un primo momento incastrato la cantante, permettendo la sua prima condanna (fin qui il dato storico), ma poi pentito si era riavvicinato all’artista ottenendo prima la sua fiducia poi il suo amore (qui invece la ricostruzione dello script) . Ora non si obietta alla sceneggiatura di aver voluto esplorare una virtualità nascosta fra le pieghe della vita di Billie, non credo che il giudizio, anche su di un film biografico, si debba misurare sull’aderenza più o meno circostanziata del suo protagonista alla vita reale, quanto di aver implicitamente suggerito che il riscatto di Lady Day potesse ottenersi solo attraverso l’amore appassionato e finalmente puro di un uomo. Billie non ha bisogno di nessun riscatto, pur nel suo precipitare autodistruttivo, pur nella cupio dissolvi della sua vita disperata, Billie ha sempre dalla sua parte la sua energia, la sua rabbia, la forza screziata e struggente della sua voce, incredibilmente riprodotta con una fedeltà che stupisce e commuove da Andra Day. Forse qualche elisse sarebbe così stata opportuna. Lee Daniels preso quasi da un eccesso didascalico ci mostra e ci spiega passaggi che avrebbero potuto rimanere impliciti, carica con un eccesso di emozione alcune scene tanto da farle apparire forzate (soprattutto quando scende in campo il malvagio Anslinger e i suoi scherani), reitera le situazioni (non sempre repetita iuvant…) dimostra in fondo di non aver troppa fiducia nelle capacità invece mirabili della sua protagonista (alla prima esperienza nel set) di trasmettere attraverso un semplice cambio d’espressione o una tonalità della voce, il dolore, l’indignazione, la fierezza, la passione. Un esempio sugli altri. Durante una tournée al sud con il suo gruppo, Billie si apparta e scopre casualmente al di là di un fitto campo di granturco l’esito orribile di un linciaggio appena consumato. La scena è cruda, tratteggiata a tinte forti, ma risulta pleonastica, denuncia i limiti dell’immagine che pur nella sua vividezza non ha il potere evocativo di quando Billie/Andra sale sul palco e canta con la sua voce sempre più roca e scavata l’orrore straniante di Strange Fruit
Scent of magnolia, sweet and fresh
Then the sudden smell of burning flesh
Here is a fruit for the crows to pluck
For the rain to gather, for the wind to suck
For the sun to rot, for the tree to drop
Here is a strange and bitter crop
Sì, forse Hoover e I suoi scagnozzi avevano ragione ad avere paura di queste parole e di quella voce.

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