C’è una festa in maschera a casa Čechov quando due sconosciuti arrivano nella notte. Sono un famoso editore e un prestigioso critico venuti ad omaggiare il dottor Čechov per il suo valore letterario e proporgli sontuosi contratti editoriali. Anton non fa una piega. È un uomo di poche parole, ma soprattutto, poche emozioni, o almeno Nicolas Giraud che lo interpreta, non le dà a vedere. La regia, come la sceneggiatura, è minimalista, che un cortese eufemismo per non dire piatta. Forse c’era l’obiettivo di far emergere il lato umano del grande scrittore, uscendo dallo stereotipo del genio sregolato, solo che a furia di lavorare in sottrazione, Il Čechov di Féret appare più insipido che sensibile, un buon ragazzo gentile, affettuoso con la sorella e soprattutto il fratello pittore malato, ma piuttosto insulso , nonostante l’impegno solerte nel suo lavoro di medico, tanto che la regia deve ricorrere al frusto trucchetto di inserire nell’esperienza quotidiana dello scrittore richiami ai suoi racconti per giustificare l’ispirazione letteraria, altrimenti difficilmente intuibile nel protagonista. Non si capisce neppure perché un personaggio che appare così poco problematico si comporti poi come un dandy blasé quando gli si presenta l’occasione di una bella fanciulla che gli si concede, professandosi incapace di amare, dichiarazione a cui segue una scena languida di sesso fra i due, che sembra dirla lunga sulla determinazione dello scrittore.
Quindi, dopo la morte del fratello, Čechov va a Sakalin per condurre un’inchiesta sui forzati che lì, ai confini dell’impero, scontano la pena e finalmente si tira un respiro di sollievo, non tanto perché muti il registro della narrazione, ma almeno perché si esce dalle inquadrature ristrette e compresse che avevano contraddistinto la prima parte del film, contribuendo a suscitare un impressione di lieve claustrofobia, aprendo la prospettiva ai campi lunghi della desolazione grigia delle coste norvegesi, location dell’isola siberiana. La digressione avrebbe avuto la finalità di introdurci al Čechov progressista, che denuncia le privazioni e la brutalità di un sistema carcerario disumano. Tutto questo, in effetti, c’è, ma riportato secondo stereotipi piuttosto scontati (l’immancabile scena della fustigazione di un prigioniero, quella di un servitore forzato che ha perso la cognizione stessa di cosa sia la libertà), l’unico guizzo dovrebbe essere rappresentato da una timida relazione platonica che Čechov intesse con una istitutrice locale, che però non sembra in alcun modo giustificata. Appare così un mistero il fatto che un uomo che c’è stato presentato come del tutto refrattario al fascino femminile, sia interessato a questa ragazza che brilla per grigiore . Poi giungono i successi teatrali e la malattia.
Il film è del 2013. Possiamo formulare qualche ipotesi riguardo al fatto che abbia trovato distribuzione con 10 anni di ritardo.
