Comandante

Bisogna dire che non c’è stato risparmiato nulla. Nonostante il cilicio che lo affligge dopo un incidente con un idrovolante, il comandante Todaro (Favino nelle fattezze di Italo Balbo) disdegna gli ozi di Capua nell’interno dannunziano della sua abitazione presumibilmente veneziana e schifa l’avvenente moglie, Silvia d’Amico in versione Salon Kitty più che Portiere di notte, e riparte all’avventura con il fido scudiero Marcon, arringando i suoi marinai con il piglio del Poiana. Poi eroismo e sacrificio, esaltazione del dovere e dell’amore patrio con il rude capitano che è come un padre per i suoi marinai che non vedono l’ora di immolarsi per  l’onore del reggimento (o di chi per lui). E così ci si sorbisce gli effetti flou delle bombe di profondità fra il fluttuare dei banchi di medusa rosa, la schermaglia contro la caccia inglese al ritmo dell’inno dei sommergibilisti che da musica diegetica si trasforma in pimpante sfondo extradiegetico dello scontro armato, neanche fosse uno spot per arruolarsi per la guerra in Ucraina, e persino lo stentoreo cannoniere che vuole godersi, nonostante l’inconveniente della gamba maciullata, l’affondamento della nave nemica. Il tutto condito dalle trite note di colore che dovrebbero umanizzare la rude tempra degli eroi secondo il consueto cliché dell’esercito melting pot delle disparate anime dell’italianità verace. Poi però, dato che “siamo italiani” come afferma con l’aria di uno che la sa lunga il comandante Todaro, siamo anche eroi al cubo. Tutti quanti capaci di affondare i nemici, noi li salviamo anche, a sprezzo del pericolo e delle nostre stesse vite. Certo, si potrà obiettare che si tratta di una storia vera, e al vero Todaro va tutta la nostra simpatia, non all’operazione cerchiobottista di De Angelis che con la scusa di esaltare la legge del mare che impone il salvataggio dei naufraghi (chi a orecchie per intendere) contrabbanda l’eterno e rassicurante stereotipo degli italiani brava gente cosa di cui, tanto per fare degli esempi, abissini, libici, sloveni, croati, greci e financo connazionali di tradizione e cultura ebraica non sono poi tanto convinti (cfr. Angelo del Bocca, Gli italiani in Africa orientale, Laterza, 1976; Angelo del Bocca, gli italiani in Libia, Laterza 1982; E.A.Rossi, M.T.Giusti, Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani, il Mulino, 2017; M.Clementi, Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-43), Derive e Approdi, 2013; S.Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-45, Feltrinelli, 2015 .) E comunque si poteva sopportare tutto, in fin dei conti perché non possiamo avere anche noi il nostro Berretti Verdi o Dunkirk? Ma il mandolino no! Con il cuoco di bordo, a cui i guru di Masterchef fanno un baffo, che intona o Surdato nnamurato, per favore no.

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