Priscilla

Guardando il film di Sofia Coppola possono nascere spontanee alcune domande  (lasciando a monte la fondamentale: “Ma chi me l’ha fatto fare di venire a vedere questo film?”). La prima potrebbe essere: “Che cosa spinge un ragazzone come Elvis Presley, che aveva ai suoi piedi l’America, ad innamorarsi di una bamboletta quattordicenne?” Poi ancora: “Come mai un ufficiale dell’esercito americano di stanza in Germania negli anni 50, categoria che non doveva brillare per spregiudicato permissivismo, può concedere alla figlia di vivere con il fidanzato, noto sciupafemmine, in America, sfiorando la complicità in pedofilia”. Sofia Coppola le ritiene ininfluenti e quindi sorvola. Nessuna risposta. In compenso per due ore Priscilla bamboleggia e si strugge per Elvis e Elvis cazzeggia e giochicchia con la sua bambolina. Poi, ad un certo punto, Priscilla si stufa e se ne va, dopo che si sono accumulati un bel po’ di aneddoti sulla vita familiare dei due. Dobbiamo arguire l’evoluzione del personaggio di Priscilla dal passaggio dalle pettinature monumentali anni ‘60 a quelle più ragionevoli e libere anni ‘70, mentre Elvis pare rimanga sempre lo stesso simpatico cazzone, solo un po’ più fatto e grasso, il tutto poi raccontato in modo così piatto e sciatto che la vicenda risveglia lo stesso interesse che può suscitare la lettura di un orario ferroviario se si deve prendere un aereo. E, affogando nella noia, ci struggiamo, anche noi come Priscilla, nel ricordo della ironia delicata e del romanticismo lieve degli esordi della carriera di Sofia Coppola in Lost in Traslation.

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